Avevo un po’ di conti da regolare, questioni personali, perché questo, a differenza degli ultimi lavori, non è un disco mitologico o di fantasia, o di storia, geografie e scienze… Non c’è il coup de cannon di «Bardamu», ma ci sono le regole d’ingaggio con cui si uccide sull’Eufrate. Non c’è l’America leggendaria del West, ma quella desolata di oggi, e dove anche avevo qualche conto in sospeso. Ci sono questioni di carattere. Mettere a fuoco quanto si è stati incapaci di essere sinceri, quanto ci si sia sempre protetti dietro delle ombre e quanto si abbia brancolato tra esse nel cercare l’altro, più per desiderio muto che per consapevolezza. Ma questo non è un disco malinconico, non c’è piagnisteo. Le lacrime, quando ci sono, sono asciutte e calcinate dal tempo, così da poterci costruire sopra. C’è una visione fatta di consapevolezza e a volte anche di epica.
Musicalmente il disco è costruito in maniera quasi filologica. Il piano e la voce sono da soli, al centro, e intorno, a fargli a volte da coro a volte da ombre, da tintinnio, da ambiente, da aria e da cappotto, una serie di strumenti, a volte inconsistenti (bicchieri, theremin, sega, toy piano, riverbero degli archi) a volte fantastici (il Mighty Wurlitzer, l’optigan, il mellotron) a volte corali (le ance da “Salvation Army”, da “Esercito della salvezza”, gli ottoni), i fiati che si dispongono insieme alla grancassa attorno al piano, assentono, scuotono la testa e gli danno ragione.
A coronamento di questo lavoro, quando il disco era già finito e missato, è venuto un viaggio verso il West dell’America. In quel viaggio la lettura dei «Racconti dell’Ohio» di Sherwood Anderson, tutta quell’America biblica e rurale fatta di piccoli villaggi e di pulsioni nascoste, una specie di «Spoon River» dei vivi, mi ha costretto a scrivere un ultimo pezzo tra le camere dei motel, mentre mi dirigevo a ovest. L’ho chiamato «La faccia della terra», perché solo quando si è soli si usa dire “sulla faccia della terra”. Una volta arrivati a Tucson, il brano è stato registrato così, al suo primo vagito, assieme ai Calexico e alle loro camicie a quadri. Il suono e il registro letterario di questo pezzo sono piuttosto diversi dagli altri: ci sono ruggine, chitarra e polvere, e un testo che parla di solitudini e di intrecci tra gente dai nomi biblici. I brani che ho scritto sono tutti miei ad eccezione dell’ultimo, «Non c’è disaccordo nel cielo», che riprende il titolo di un vecchio inno composto nel 1914 da Frederick Martin Lehman, uno specialista del genere; ne ha scritti molti, armonizzati spesso dalla figlia. Il testo non è la traduzione dell’originale, ma il mio modo personale di sentire l’argomento. Un cielo a portata delle preghiere di tutti, che forse ci accoglierà e forse si farà trovare vuoto. Ma dove finiscono di sicuro tutte le lacrime di quando ci siamo sentiti migliori.
Copertina e grafica: Jacopo Leone (Etcetera)
Riconoscimenti: Premio Amnesty per il brano «Lettere di soldati»
Tracklist
- Il gigante e il mago – 6:50
- In clandestinità – 5:20
- Parla piano – 4:47
- Una giornata perfetta – 4:20
- Il paradiso dei calzini – 4:00
- Orfani ora – 4:50
- Sante Nicola – 4:40
- Vetri appannati d’America – 4:47
- Dall’altra parte della sera – 4:13
- La faccia della terra – 5:20
- Lettere di soldati – 5:47
- Non c’è disaccordo nel cielo + Da solo tutt’quant (ghost track) – 16:16
Musicisti
Vinicio Capossela (pianoforte, mellotron, melodica, chitarra wood-dobro National e voce), Zeno De Rossi (grancassa, batteria e piatti), Enrico Gabrielli (clarinetto piccolo, sax contralto, clarinetto basso, flauto, Eko tiger organ), Frank London (tromba), Matt Darriau (sax baritono), Enrico Allorto (basso tuba), Giulio Rosa (basso tuba, cimbasso), Cameron Carpenter e Anthony Coleman (Mighty Wurlitzer Theater Organ), Glauco Zuppiroli (contrabbasso), Alessandro “Asso” Stefana (chitarra, lap steel guitar, chitarra fantasma, tubular bells, autoharp, cori), JD Foster (campanellini, cori), Vincenzo Vasi (glockenspiel, toy piano, fischietto, cori, theremin), Raffaele Kohler (tromba, flicorno soprano), Luciano Macchia (trombone), Edodea Ensemble (quartetto d’archi), Vincenzo “Cinaski” Costantino (fischio d’inizio), Pascal Comelade (toy piano e altri strumenti giocattolo), Gianfranco Grisi (cristallarmonio, concertina), Ursula Knudson (sega musicale), Fabrice Martinez (violino), Joey Burns (contrabbasso, chitarra classica), John Convertino (batteria), Martin Wenk (tromba), Jacob Valenzuela (tromba), Mario Brunello (violoncello), Gak Sato (battito del cuore). Partiture per archi di Enrico Gabrielli.